Parliamoci chiaro, senza troppe ipocrisie. I videogiochi sono spesso delle opere d’arte. Hanno rivoluzionato il concetto di intrattenimento, portandoci dentro mondi fantastici, emozioni profonde, esperienze che i libri o i film non sempre riescono a offrire. Alcuni titoli sono così intensi da rimanere scolpiti nella memoria per anni. Ma c’è un lato oscuro, più sottile, meno evidente. Un aspetto che, proprio perché nascosto dietro la bellezza estetica e la dinamicità del gioco, rischia di essere ignorato: ci stanno abituando a pensare come schiavi.
Sì, hai letto bene. Schiavi.
Non nel senso fisico, ma mentale, comportamentale, psicologico. Il videogioco – e la struttura su cui si basa – ci educa fin da piccoli a obbedire, a compiere azioni su comando, ad aspettarci una ricompensa solo se facciamo ciò che ci viene detto. Anche quando ci illude di essere liberi, siamo comunque rinchiusi dentro schemi predefiniti, obiettivi imposti, missioni da completare. E se non le completi? Sei fuori. Il gioco non prosegue. Il sistema ti punisce o semplicemente… ti ignora.
UNA LIBERTÀ CHE NON ESISTE
Prendiamo ad esempio i famosi giochi open world. Titoli enormi come GTA, Red Dead Redemption, Skyrim, The Witcher, Zelda: Breath of the Wild. La loro forza è – almeno in apparenza – la libertà: puoi esplorare, combattere, costruire, commerciare, fare side quest o perderti nel mondo. Ma guardiamoli con attenzione: quella “libertà” è strettamente regolata. Puoi sì muoverti, ma entro i confini stabiliti. Puoi sì interagire, ma solo con ciò che è stato programmato. Puoi sì scegliere, ma solo tra due o tre alternative già scritte da qualcun altro.
E soprattutto: alla fine torni sempre all’obiettivo principale. La storia deve andare avanti. Se non completi le missioni, se non sblocchi i traguardi, non succede nulla. Sei fermo. Inutile. Invisibile.
È il riflesso di una realtà che conosciamo bene. Dove non contano le idee, la creatività o il pensiero critico, ma la produttività, l’esecuzione, il risultato. Se non “fai”, non vali.
UNA MENTALITÀ CHE SI RADICA NEL SUBCONSCIO
Questa struttura di gioco – che potremmo riassumere in “esegui → ottieni” – non è neutra. Agisce nel tempo, in profondità. Il cervello umano è plastico, si adatta agli schemi ripetitivi. E quando passiamo centinaia, migliaia di ore davanti a videogiochi che ci premiano solo quando eseguiamo degli ordini, il nostro subconscio inizia a interiorizzare quella logica.
Ecco perché poi, nella vita quotidiana, cerchiamo compulsivamente obiettivi. Senza uno scopo, ci sentiamo persi. Senza una guida, ci sentiamo spaesati. Senza un risultato misurabile, ci sentiamo inutili. È la trappola della “gamification” della mente.
Ogni giorno cerchiamo un “+10 XP”, un “achievement sbloccato”, una “moneta virtuale” da collezionare, anche se non ci rendiamo conto di farlo. Inseguiamo notifiche, like, badge, riconoscimenti simbolici. Ma siamo davvero liberi? O stiamo solo reagendo a stimoli esterni, come topolini in un labirinto che cercano il formaggio?
DAI VIDEOGIOCHI ALLA VITA REALE: IL LAVORO, LA SCUOLA, LA SOCIETÀ
Questo condizionamento non si limita al tempo libero. Entra nel modo in cui vediamo il lavoro, la scuola, i rapporti umani.
- Al lavoro, siamo incentivati a completare task, seguire procedure, raggiungere obiettivi trimestrali, aumentare le performance. Se non lo fai, vieni sostituito.
- A scuola, vieni premiato se segui il programma, se esegui bene, se ripeti fedelmente. Ma quasi mai se pensi in modo creativo, se contesti, se esci dagli schemi.
- Nei rapporti sociali, la logica delle “ricompense” si riflette nei like, nelle visualizzazioni, nelle metriche. Si finisce a vivere per l’approvazione degli altri, non per sé stessi.
In tutto questo, il videogioco ha un ruolo silenzioso ma costante: educa fin da piccoli a pensare che la vita è fatta di obiettivi da completare, e che il valore di una persona sta in quanto produce, in quanto “livella”, non in ciò che è.
L’ASSENZA DI VUOTO, DI NOIA, DI VERA LIBERTÀ
Un altro effetto collaterale? L’incapacità di stare nel vuoto, nella noia, nel tempo non strutturato. Nei videogiochi, tutto è ritmo, movimento, stimolo. E nella vita? Quando non c’è nulla da fare, molti si sentono ansiosi, irrequieti, depressi. Ma è proprio in quei momenti – nel silenzio, nella libertà non guidata – che nasce la vera creatività.
I videogiochi, per quanto meravigliosi, ci allenano a non stare fermi, a non contemplare, a non perderci. Ci tengono svegli, reattivi, pronti… ma non liberi.
DUNQUE I VIDEOGIOCHI SONO IL MALE? NO, MA ATTENZIONE.
Non si tratta di demonizzare i videogiochi. Sarebbe stupido, oltre che ipocrita. Possono avere un valore artistico, narrativo, emotivo. Possono essere strumenti di evasione, socializzazione, persino terapia. Ma come ogni strumento potente, vanno compresi e gestiti. Non possiamo permettere che formino la nostra psiche senza che ce ne rendiamo conto.
Il problema non è il gioco in sé, ma la struttura mentale che costruisce. E se questa struttura si replica in ogni ambito della vita, il rischio è che l’essere umano finisca per pensare solo in termini di utilità, efficienza, ricompensa.
Senza più ricordarsi come si gioca davvero. Per piacere, per scoperta, per essere.
IL GIOCO PIÙ IMPORTANTE È USCIRE DAL GIOCO
La vera sfida, oggi, è riconoscere quando non stiamo più giocando, ma stiamo obbedendo. Quando stiamo inseguendo obiettivi che non sono nostri, ma imposti. Quando ci alziamo la mattina solo per completare una lista di cose da fare, senza più chiederci perché. Quando la vita diventa un enorme videogioco, con livelli, boss, premi… ma nessuna autenticità.
Allora forse è il momento di spegnere tutto. Non per sempre. Ma per riprendere il controllo del nostro cervello. Per reimparare ad annoiarci, a camminare senza meta, a pensare senza dover produrre.
Perché solo quando smetti di completare quest puoi davvero cominciare a vivere.
Conclusione: giochi o ti fai giocare?
I videogiochi possono essere una forma d’arte, ma anche uno specchio deformante. Possono liberare, ma anche imprigionare. Tutto dipende da quanto siamo consapevoli. Ricorda: sei tu che giochi, non lasciare che siano gli altri a giocare con te.
Ogni tanto spegni la console e chiediti: sto facendo davvero ciò che voglio… o sto solo seguendo una quest?